Shy enough to fall in love!

e per la prima volta nella mia vita ho pensato e sperato che qualcuno morisse.

Ricordo che appena tornai a casa chiusi subito con Mosè, il ragazzo con cui mi vedevo, ero terrorizzata che gli altri capissero cose da me cose che io non volevo. Il ricordo di Firenze ogni tanto torna, con me su quel divano a tremare senza riuscire a muovermi o a fermarmi e a chiedere alla Stefi di portarmi fuori di là, ero convinta che prendere e andare non fosse sufficiente, ero convinta che mi avrebbe fatto a pezzettini, eravamo entrate noi lì dentro e nessuno sapeva dove fossimo, e dopo, da sotto quel palazzo sedute sul marciapiede ad aspettare un taxi, inizia a ritrarmi sempre di più da quel punto di vista. Quella volta ebbi paura per davvero, mi rendevo conto che ci era sempre andata bene, compagnie sbagliate, grosse cazzate, ragazzi difficili, droga, niente di tutto questo, solo stupida voglia di ballare, ma nel frattempo io ero diventata la causa con il mio comportamento di qualche fra-intendimento?! Uscii da lì solo grazie a lei che mi gestisce quando da sola non ce la faccio (ti ricordi Pantelleria!), e al pensiero fisso su quel ragazzo con i capelli rossi incontrato sul treno, perchè mi dovevo aggrappare a qualcosa ed era l’unica cosa bella che avevo visto ultimamente.

Quella cosa ci ha segnato ma non ne abbiamo mai più parlato. L’altra sera ero fuori da un bar, avevo appena scoperto cosa era successo a Parigi, guardavo quelle immagini che sembravano quelle che sei abituato a vedere nei film quando c’è Bruce Willis in giro e non ci credevo, non capivo, ma sentivo che dovevo uscire, ho sempre più bisogno di aria, e ad un certo punto è arrivato, io lo sento subito, e con il mio ginetto in mano comincio a tremare senza riuscire a controllarmi, perché non ci credo a tutta quella indifferenza, mancanza di cura di affetto e di amore, io sono di nuovo la causa del mio male e me ne voglio andare.

Sono giorni strani, del cacchio direi, ma poi sono buoni anche quelli, ho ricevuto la lettera di sfratto ed ora ho un anno di tempo per lasciare la mia casa, finalmente qualcuno che mi dice cosa devo fare e lo devo fare, non mi viene neanche da piangere, o da chiedere perchè, da implorare nessuno, per una volta non ho paura. Sabato resto in centro 2 ore da sola, per un attimo scompaio, nessuno sa dove sono, vado in giro, faccio quello che devo fare con lucidità, da Cenerino entrare non è difficile, perchè c’è la Francesca che è fantastica e mi la confidenza che certe volte altrimenti perderei, vado dritta. Arrivo al Ponte Vecchio (#savetheoldbridge, #salviamoilpontevecchio), che già a vederlo da quello Nuovo ti impietosisce a tal punto, come un vecchietto accasciato che devi aiutare a rialzarsi, ma poi da lì, appena sotto Nardini basso la scena è allarmante, il ponte è puntellato e diviso a metà, a destra non ci puoi andare ma solo vedere, è svuotato, alleggerito, e si passa in silenzio, a sinistra sembra come di entrare in una trincea, ci si abbassa così tanto che penso che toccherà l’acqua, il pavimento è mosso, incerto, non corre più dritto per niente. Arrivo al di là, la mia parte della città, la destra brenta, la prima sera le voci e le luci che rimbalzano addosso alla nebbia, c’è la Bassanina con i ragazzi seduti nei tavoli fuori, i negozi che si conciano come la casa che vorrei avere e poi persone belle che non conosco per niente ma che mi sembra di conoscere da sempre, con cui è semplice e bello tutto, un bicchiere d’acqua dal rubinetto e una ciotola di mandarini appoggiata sul tavolo, parlare, dirsi tutto, i pensieri brutti e quelli belli che passano in testa per un istante, e leggere uguali i segni delle cose che ci accadono. Le solite cose e quelle nuove.

Decido di tornare a casa facendo il lungo brenta alle 7 di sera del 14 novembre, da sola, non mi sento tranquilla ma forzo un po’, perchè mi sono rotta di tutta quella calma, chiamo una amica e le chiedo se è una buona idea fare quella strada, lei fa solo in tempo a dire di no, dopodiché il telefono è morto, ed io la faccio di corsa, piena di paura, con tutte quelle borse appese alle braccia che sballonzolano di qua e di là.

In giornate scure come queste, con le amiche che non mi vogliono vedere, con qualcuno che non mi vede mai e poi con una Paris così, ho bisogno di sentire la mia vita passare, di metterla in qualche modo in pericolo, alle strette, respirare veloce, aver male alla gola per lo sforzo, sudare, allontanare passandoci in mezzo lo schifo.

 

e mentre i sogni mi aiutano a fare meglio e a fare di più, 
credo fortemente a quello che sento, e a quello che faccio. (repeat)

 

(opening pic from http://cultoftomorrow.tumblr.com/)

 

Chichi

No Comments

Post a Comment