
S O L I D L I S B O N !
Lei scriveva come quando prendi sonno improvvisamente e inaspettatamente, in uno di quei pomeriggi estivi dove appiccica tutto, con la testa che penzola e la bocca aperta, mentre continui a sentire la cicala cantare lontana, ma tu sei qui al fresco e al sicuro. Dopo un secondo non senti già più nulla, ma dopo forse erano solo dieci secondi, ti risvegli, sudato e sbavato e senti tutto il caldo che ti reinveste nuovamente e completamente.
Tutte le cose ovvie mi vengono in soccorso. Please. Insert a coin. Hai un altro tentativo a disposizione.
Ieri la fortuna era la mia compagna, la sentivo accanto e stavo bene, adoro le guide, in libreria davanti al loro scaffale potrei starci delle ore a immaginare i viaggi possibili da fare partendo da qui e arrivando lì, ma poi non le compro mai e quando ne ho una in mano, bo, preferisco fare a modo mio. L’ispirazione mi viene addosso con la stessa dimensione e pesatura di un tram, l’Elevator de Gracia, che è tutto giallo e ricoperto di graffiti, ha una serranda come porta e si inerpica su e giù tutto il giorno per un tragitto di soli 730 metri ed un dislivello di 75 metri, niente di impossibile da fare ma davvero troppo carino da vedere.
Vado col naso troppo all’insù, che poi devo anche capire come tornare.
I festoni li hanno lasciati dopo la festa del Santo di giugno, solo per non rifare il lavoro a settembre, ma intanto svolgono l’azione delle reti per i pesci, il richiamo per gente curiosa, così finisco nel Barrio ed è un stridere di viette con gente seduta sull’uscio, intenta a chicchere e a birra ghiacciata, incuranti dei panni che sventolano sopra le teste, mentre i palazzi ricoperti di azulejos, quelle adorabili piastrelle decorate, attutiscono umori e rumori, e finisce che niente mi dà più fastidio.
Arrivo in Rua do Loreto accanto a Piazza Luís de Camões, svolto l’angolo, costeggio il palazzo ed è lì, il Manteigaria, e niente, entro, pareva stessero aspettandomi, ed è tutto lì, in un locale piccolo e stretto, fanno il miglior Pasteis de Nata ed il miglior caffè di tutta la città. Dopo vado via, ma penso solo a quando e come tornare.
Alla fine sono sempre e solo io, parlo-parlo piango e prometto ma non voglio cambiare, resto lì e rigiro gli angoli.
Scopro che il galletto è ovunque perchè è il simbolo del Portogallo ed il motivo di tutte quelle statuine di Sant’Antonio da Padova, è perchè lui è nato qui, ma mentre in Italia sono-solo-quelle-sacre-e-serie che ti viene difficile prendere, qui sono colorate che vorresti averle tutte sul tuo comodino. Paese di cappellai, di artigiani, maestri d’arte d’altri tempi, e del reinventarsi, che hanno attrezzato e accomodato le Apette (Tuk-tuk) per portare in giro tutti quei turisti che vengono, così mentre loro ti raccontano la storia, tu guardi, e mentre il vento ti scompiglia, tu diventi parte della cartolina.
E’ un posto speciale dopo l’altro, il bar dove Carolina si siete al banco e si mangia il suo paò de deus, poi la Paletaria con il ghiacciolo artiginale e paletas in loco, scappo da dove è troppo alto per me, l’elevador de Santa Justa è chiuso, c’è troppa fila e un solo accesso alla cima, così finisco su una terrazza sopra i tetti e sopra il fiume Tago, al miradouro de Santa Catarina, dove arrivano tutti quando il sole sta per calare, a far chicchere in una lingua sconosciuta ma melodiosa.
Alla sera trovo il ristorante più fico della terra, studio il menù, bacalhau bacalhau, aspettando fuori che ci facciano sedere, ma dopo mezz’ora, e senza guardarmi in faccia, il padrone ci manda via per via dei bambini, che si erano arrampicati come delle scimmie alle loro finestra.
Ed ecco la fine della mia storia, perchè la mia cara fortuna mi ha abbandonato quella sera, perchè se tu traballi e non sei sincera, lei ti molla, perchè lei è come l’amore e la tosse, non si può nascondere, lei ha bisogno di farsi vedere.
E’ sempre la stessa storia con me, cerco l’estate tutto l’anno ma poi non vedo l’ora che arrivi l’inverno.
Chichi
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